LA COMPAGNIA SPELLBOUND CONTEMPORARY BALLET IN CARMINA BURANA AL TEATRO LEA PADOVANI
HU7QRO2K_Q88I4CK2 CARMINA BURANA, Una produzione realizzata dalla Compagnia Spellbound Contemporary Balletcon il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali Spettacolo e dell’Azienda Autonoma SoggiornoTurismo di Maiori nell’ambito dei Grandi eventi della Regione Campania domenica 26 ottobre alle ore 21:00 al Teatro Lea Padovani coreografia e set concept Mauro AstolfiMaria Cossu, Marianna Ombrosi, Alessandra Chirulli, Giuliana Mele, Gaia Mattioli,Barbiero, Mario Laterza, Giacomo Todeschi, Giovanni La RoccaAleksandar Sasha Karlic, Carl Orff, A.
Data:
7 Ottobre 2014
CARMINA BURANA, Una produzione realizzata dalla Compagnia Spellbound Contemporary Ballet
con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali
Spettacolo e dell’Azienda Autonoma Soggiorno
Turismo di Maiori nell’ambito dei Grandi eventi della Regione Campania
domenica 26 ottobre alle ore 21:00 al Teatro Lea Padovani
coreografia e set concept Mauro Astolfi
Maria Cossu, Marianna Ombrosi, Alessandra Chirulli, Giuliana Mele, Gaia Mattioli,
Barbiero, Mario Laterza, Giacomo Todeschi, Giovanni La Rocca
Aleksandar Sasha Karlic, Carl Orff, A. Vivaldi
disegno Luci Marco Policastro
Scene Stefano Mazzola
Costumi Sandro Ferrone
I Carmina burana vennero ritrovati, numerosissimi (più di trecento componimenti di vario genere), in un
manoscritto dell’abbazia di Benediktbeuren, da cui presero il nome. Vengono fatti risalire per la maggior
parte al secolo XIII, quando non era troppo difficile, viaggiando per la Germania e la Sassonia, imbattersi
nei goliardi (da cui il nome dato dalla tradizione italiana agli studenti universitari, che in realtà hanno poco
o nulla da spartire con i loro omonimi medievali) o più propriamente clerici vagantes, letterati girovaghi
studiosi della tradizione poetica greca e latina, cantori del vino, delle donne, del vagabondaggio e del
gioco. Poesia burlesca, impudente, sovversiva: si parla senza troppi veli del corpo e della sua quotidiana
avventura, se ne esplicano con gioia le funzioni, non si guarda all’altrove. Tace il linguaggio della ratio, si
dimentica il decorum e si osa persino irridere audacemente al divino con le cosiddette ‘kontrafakturen’, ossia
travestimenti di inni e motivi religiosi in canti profani che suonano come parodia degli evangeli, delle formule
di confessione e delle litanie. Eros, dunque, riassorbe thanatos, l’homo faber si trasforma in homo ludens.
“Venus me telo vulneravit / aureo, quod cor penetravit”… “Venere mi ha colpito con una freccia d’oro,
che mi è penetrata nel cuore”: il corpo (a differenza di quello dei dannati nei ‘Giudizi universali’ della
pittura medievale che non conosce alcuna floridezza nella resurrezione, soltanto degradazione, pustole e
infermità), non è mai detto animale, basso, ‘sozzo’, bensì viene innalzato, liberato e goduto, come nei versi di
Ovidio, Marziale e Catullo. Da questo curioso magma di scurrilità plebea e raffinatezza cortigiana
Mauro Astolfi trae – o per meglio dire, deduce in piena libertà, senza alcuna intenzione filologica – una
coreografia tutta giocata tra ‘larghi’ e ‘sfrenatezze’ (del resto, è un artista a cui il ritmo ‘medio’ poco o
nulla si addice) che agisce lo spazio quasi a volerlo contestare, divisa essenzialmente in tre momenti
che scandiscono un crescendo liberatorio: si passa da una brutale aggressione sotto il cupo rombare
della pioggia battente a una parte irriverente e grottesca che allude alle giullarate, per culminare infine
nell’incendium cupiditatum, lo scatenamento delle passioni, che avviene nella taberna (qui anche – come
spesso anticamente – bordello), luogo di appagamento degli istinti primari… Due i simboli chiave di
questo balletto, calati in un’atmosfera inquietantemente metafisica: un grande armadio (visto, si direbbe,
con gli occhi dell’infanzia che tutto colorano di mistero) e una tavola. Il primo (in cui i corpi dei ballerini
si vanno quasi a riporre come abiti frusti), luogo di memorie, di segreti di ‘scheletri’ ipocritamente celati; la
seconda, altare sacrificale della terrena voluptas, imbandita di corpi esibiti come cibarie tentatrici (Gola
e Lussuria, essendo due vizi capitali, sono figli della medesima cova)…
‘Carmina burana’, dunque, come temerario ‘grido’ del dissenziente che si pone di fronte all’ ‘infrazione’
senza soverchia paura e al tabù con il palese desiderio di infrangerlo sfidando consapevolmente censure
e anatemi, giocando a carte scoperte la quotidiana partita contro la morte, recuperando il caos di
Pan attraverso l’armonia di Orfeo, accettando la realtà senza spiritualizzarla, magari sconfinando nella
‘trivialità’ e nell’ ‘osceno’… Non si aspettano futuri compensi, ma si vive nell’oggi, riconoscenti a divinità
dal volto pagano che non minacciano castighi e non promettono compensi oltre ciò che può dare
l’immediata contingenza: non dèi, ma più familiari demoni, da cui lasciarsi possedere e invasare, come
Eros, il quale, a dire di Platone, “è un demone grande”, e come tutto ciò che è demoniaco è “qualcosa di
mezzo tra il dio e il mortale”. Riccardo Reim
BIGLIETTO UNICO € 5,00
Ultimo aggiornamento
7 Ottobre 2014, 13:24