Aggredire la superficialità. Viaggio ad Auschwitz degli studenti di Scuola Secondaria di Primo Grado di Montalto e Pescia Romana
È bene chiarirlo subito. Questo viaggio nella memoria sarebbe bene compierlo tutti, almeno una volta nella vita.
Data:
30 Aprile 2015
È bene chiarirlo subito. Questo viaggio nella memoria sarebbe bene compierlo tutti, almeno una volta nella vita. Per essere meno superficiali e per dare senso e autenticità ad ogni manuale di storia! Qualcuno dice che arrivi ad Auschwitz-Birkenau con la storia studiata, e capisci che qui puoi studiarla in un’altra maniera. Confermo.
Il viaggio in Polonia promosso dall’Assessorato alla Cultura di Montalto è stato un vero e proprio laboratorio sperimentale, tanto per gli studenti delle classi Terze quanto per i loro accompagnatori insegnanti. Si legge e studia la Shoah in classe attraverso i libri, in un modo che risulti comprensibile a degli adolescenti che si affacciano per la prima volta, alla loro età, ad alcuni drammi della storia del Novecento; vedi che l’argomento incuriosisce, che la narrativa letta in aula coinvolge i ragazzi, che c’è fame di sapere, che qualcuno si commuove anche, davanti alla conoscenza, alla vergogna, alla consapevolezza, alla pietà.
Poi la sorpresa di poter fare un viaggio nei luoghi della memoria. Una gita, come se ne fanno tante? Veramente no. Certo, è fantastico prendere l’aereo e andare all’estero, visitare una città come Cracovia, visitare le famose miniere di sale, patrimonio dell’Unesco, scegliere il souvenir da portare a casa; ma la vera sorpresa per noi insegnanti è scoprire che i ragazzi vivono con trepidazione l’attesa per una giornata in particolare, quella dedicata alla visita dei campi di concentramento. È il baricentro di questo viaggio, ce ne accorgiamo dai discorsi degli alunni, dalle chiacchierate informali, dai messaggini sui cellulari con le famiglie.
Arriva il giorno prestabilito, siamo ad Auschwitz. Nel parcheggio dei tanti pullman c’è una babele di lingue incredibile. Poi si entra nel campo, e c’è un silenzio pressoché assoluto, nonostante le centinaia e centinaia di visitatori in gruppi, ognuno con la propria guida, ognuno con un auricolare dove ascolta la spiegazione, i numeri della tragedia. Rimaniamo tutti basiti davanti ad una macchina dell’orrore così ben congeniata e oliata. Camminiamo tra i reticolati e i blocchi di detenzione, tra sguardi attoniti. Alcuni visitatori portano fiori. Altri si commuovono, a una distanza di settanta anni dai fatti accaduti lì. Alcuni sono lontani parenti, la maggior parte no. Se togli un attimo le cuffie, il silenzio torna ad essere sovrano, ed il motivo è che questo è un luogo sacro, cimitero nazionale polacco.
Entriamo dentro ai blocchi di detenzione adibiti a museo e scopriamo il “privato dei deportati”, che si avvia a diventare pubblico (per i milioni di visitatori che percorrono ogni anno quei luoghi muniti di fotocamere e videocamere): scarpe, protesi, capelli, valigie, vestiti, un numero sconfinato di fotografie con volti di detenuti e dati anagrafici – nascita, professione, data di ingresso nel lager, data di morte. Vediamo le camere a gas. Vediamo i forni crematori. I ragazzi camminano, osservano, ascoltano, afferrano momenti e destini, personali e collettivi, di questi uomini e donne travolti nel fiume violento degli eventi. E dell’oblio generale di poi.
Una grandissima lezione di storia fuori dalla scuola! Che continua a pochi chilometri di distanza a Birkenau, altro lager, enormemente più grande di Auschwitz, dove la vista si perde tra ettari pieni di torrette di guardia e grosse baracche per prigionieri. I ragazzi camminano su quell’unico binario che conduce all’interno del campo, funzionale solo all’ingresso del treno carico di deportati, al loro scarico, alla selezione sul piazzale adiacente, alla sua ripartenza, vuoto. Decidiamo di camminare tenendoci per mano, un segno semplice per dire “sentiamoci vicini tra noi”, e idealmente vicini a tutti quelli che non ci sono più.
È stata una giornata memorabile, dentro un viaggio memorabile. Ci siamo accorti che i nostri ragazzi erano i più giovani visitatori, e questo ci ha fatto per un attimo sorgere il dubbio: non sarà un’età poco appropriata per guardare in faccia l’orrore? Forse no. L’attenzione con cui hanno camminato nei lager, le domande alla guida, gli appunti presi, la ricerca di corrispondenze tra le cose lette in classe e questo posto confermano che … no, non è stato un azzardo. Non sono troppo giovani per ricordare, un domani. E non sono troppo giovani per cominciare a pensare, da oggi.
La memoria in fondo è come un setaccio: lascia passare tante inconsistenze, ma le cose importanti le trattiene. Certe atmosfere e certi ricordi permarranno, anche se lavorati dal tempo. Questi ragazzi cresceranno, e ogni volta che avranno a che fare, per motivi scolastici e non, con le discriminazioni, ad ogni livello, il ricordo di questo viaggio riaffiorerà. E ci piace pensare che darà i suoi frutti. Perché la regola aurea della storia è: ripensare il passato significa ogni volta scegliere nel presente!
Prof. Alberto Puri
(Docente di Lettere Scuola Media Montalto di Castro)
Ultimo aggiornamento
30 Aprile 2015, 00:00